Ricordo di un partigiano: Giannetto D’Oria

Grande Presidente dell’Auser Martinetti

Giannetto D'Oria, partigiano e presidente Auser Martinetti Genova SampiedarenaIn questi giorni in cui tutti parlano di “memoria” per non dimenticare, noi del Circolo Auser “Martinetti” vogliamo ricordare il nostro grande presidente partigiano, Giannetto D’Oria che, dopo l’8 Settembre, svolse attività cospirativa come sappista (nella “IV Brigata Mazzini”) e nel ’44 andò in montagna. Scampato, perché ammalato di tifo, al rastrellamento della Bandita di Cassinelle, tornò a Genova, dove fu arrestato e rinchiuso in carcere.
Per anni ha fatto parte del C.D. di Anpi e nel Giugno del ’62 fu prescelto per rappresentare la Resistenza Genovese (quella del ’43-’45 e quella del 1960) a Salerno, dove ritirò la medaglia d’oro conferita a Genova per la “Fedeltà alla Resistenza”.

Crediamo che il miglior modo per ricordare Giannetto D’Oria sia riportare quanto che lui stesso scrisse di quel memorabile evento:

Ricordo… un’Estate a Salerno… Accadde molti anni fa. Era il Giugno del 1962, dal 30 Giugno del ’60 erano trascorsi due anni: si premiava la “Fedeltà alla Resistenza” e io – portuale – immeritatamente prescelto a rappresentare la Resistenza Genovese mi trovavo tra le più belle figure della Resistenza Italiana. Giunsi in piena notte all’albergo di Salerno dove mi pregarono di spartire la camera d’albergo con un premiato. Nella camera feci il più piano possibile… il mio compagno dormiva. Alla mattina destandomi lo trovai già alzato, ci presentammo: “Salvatore Quasimodo:”, mi disse, “scrittore”. Io dissi: “Giannetto D’Oria…” e aggiunsi “Portuale. Visto il mio reverenziale timore il poeta mi disse: “un nome storico e una professione fra le più belle”. Ci sentimmo subito compagni: Compagni nella Resistenza, compagni nell’amore per la Libertà.

Io ritirai il premio destinato alla “Genova del 30 Giugno” , lui il meritato e dovuto riconoscimento al suo grande impegno e sommo intelletto sempre operante nella fede e nell’amore della giustizia, che gli facevano scrivere:

E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento“.

E che gli fecero formulare per i compani trucidati di Loreto questa altissima preghiera:

O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell’ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano :
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora delle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe:
la morte non dà ombra quando è vita“.

Si, compagno Quasimodo: la morte non dà ombra quando è vita. E tu vivrai nel ricordo dei buoni, nel pensiero degli umili e soprattutto rimarrai sempre nella memora del portuale che ti ricorda “grande compagno” di quei giorni.

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